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Aspetti e problemi dell'evangelizzazione in America Latina (Parte 2)

lunedì ottobre 20, 2008

Aspetti e problemi dell'evangelizzazione in America Latina (Parte 2)
di Roberta Fidanzia

Per capire lo spirito francescano è necessario fare una breve premessa basata sulla Regola non bollata di S. Francesco.
Nel capitolo sedicesimo si esprime il modo di evangelizzare voluto dal Santo: “i frati che vanno presso gli infedeli e i saraceni possono stabilire un dialogo spirituale in due modi. Uno è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio affinchè infedeli e saraceni credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, nel Figlio redentore e salvatore e siano battezzati e si facciano cristiani, perché se ognuno non sarà nato di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di Dio ”.
Si rinuncia, cosi, alla violenza, anche simbolica, per divulgare la fede.
È pur necessario tener presente che in Europa, nello stesso periodo, si assisteva ad una Riforma Cattolica, intesa non come pura reazione alla Riforma Protestante, ma come movimento nnovatore interno alla Chiesa stessa e che cercava di riportare la Chiesa all’originale spirito cristiano.
E questo ideale si mantenne sempre vivo nell’Ordine francescano che voleva far valere il Vangelo come norma vitae per tutti i cristiani.
Queste, quindi, erano le idee che circolavano tra i francescani di quell’epoca, tanto che molti di essi credevano sinceramente che nelle ìndie avrebbero instaurato la vera Chiesa, profetizzata dal Nuovo Testamento e da Gioacchino da Fiore , le cui idee, nonostante la condanna del 1215 da parte del Concilio Lateranense, sopravvissero fino al XIV secolo, influenzando sia alcune correnti cattoliche e sia alcune correnti della Riforma protestante.
Secondo fray Toribio de Benavente, soprannominato dagli indios “Motolinia”, che significa “poverello”, “estos indios en si no tienen estorbo que impida para ganar el cielo de los muchos que los espanoles tenemos y nos tienen sumidos, porqué su vida se contenta con muy poco ” ed anche un altro frate, Jerónimo de Mendieta, ci ha lasciato testimonianza delle qualità cristiane di questi indios quando, nella sua Historia Eclesiàstica Indiana, dice che “puédese afirmar por verdad infalible, que en el mundo non se ha descubierto naciòn o generaciòn de gente mas dispuesta y aparejada para salvar sus ànimas aue los indios de està Nuova Espana ...” ed elenca le condizioni e qualità naturali degli indios “muy favorables para hacer vida cristiana y para agradar a Dios ”.
Queste qualità cristiane sono rappresentate dalla docilità, mansuetudine, frugalità, semplicità, obbedienza, umiltà, pazienza e disponibilità al perdono, doti caratteristiche del buon francescano, ma anche del suddito perfetto , ideale lontano dal conquistatore.
Anche se gli spagnoli, infatti, dimostravano molto rispetto per le leggi, per esempio con la lettura del Requerimiento , non avevano dimostrato di possedere nei confronti degli indios le qualità morali del suddito perfetto. Però proprio per questa loro mitezza e docilità, gli indios, non erano adatti a governarsi da soli, ma dovevano essere guidati. Per questo i frati francescani, che sognavano di creare nelle Indie la vera Chiesa Apostolica, - nella quale non si deve vedere, però, un progetto di indipendenza politica del regno indiano, che non aveva mai sfiorato l’anima dei francescani -, dato il comportamento scandaloso dei conquistadores, molto poco cristiano, pensavano di costituire una “Republica de indios” divisa dalla “Republica de espanoles”.
La divisione non era, quindi, per questioni di razza, ma per evitare che l’evangelizzazione che essi si riproponevano di impartire agli indios non venisse inquinata dall’esempio dannoso degli spagnoli, ritenendo, tra l’altro, di poter ottenere più “ascetismo e rigore morale dagli indios che non dagli spagnoli ”.
II loro ideale era costituire una organizzazione ecclesiastica indiana - sempre non intesa in senso politico -, ma in questo furono combattuti dalla Santa Sede, che temeva una eccessiva autonomia dei frati e che continuava e continuerà a lungo a mantenere pregiudizi su indios e mestizos, escludendoli dagli ordini religiosi fino al XVIII secolo e rifiutando, nel XVII secolo, la canonizzazione dell’attuale S. Rosa da Lima , perché indiana. Sembra, dunque, che gli indios vivessero naturalmente secondo lo schema di vita dello spirito francescano: la loro alimentazione è poverissima, come i loro vestiti, hanno molta pazienza nel sopportare le malattie, non si preoccupano di accumulare ricchezze e non si uccidono fra loro per il potere, come testimonia “Motolinìa”.
E qui è chiaro il riferimento ai conquistadores, che pur di guadagnare ricchezza e potere erano pronti ad uccidere indiscriminatamente gli indios, considerati comunque animali inferiori, e ad uccidersi fra di loro, tradendo anche i vecchi amici e soci .
Nonostante i francescani abbiano accettato lo stampo politico della conquista, prima dei Re Cattolici e dopo dell’Imperatore Carlo V, non assumeranno il carattere economico della colonizzazione che era quello di accumulare ricchezze. “L’attività missionaria dei francescani - infatti – deve essere vista alla luce del “modo apostolico” e del fervore della “osservanza” alla quale appartenevano i francescani ” missionari. È, dunque, il Vangelo il centro della vita di S. Francesco: egli non voleva fondare un ordine religioso come gli altri, ma voleva riscattare per tutta la Chiesa, non la Chiesa intesa come istituzione presieduta dal papa, ma la Chiesa come comunità dei cristiani, il Vangelo come fonte di vita e di dedizione a tutte le persone, in qualsiasi condizione esse si trovassero.
Francesco, il “filosofo dell’Amore Cristiano”, come lo definisce Hans Welzel , non si oppone alla Chiesa Imperiale di Innocenzo III, come invece farà Lutero contro la corruzione della Chiesa Romana di Alessandro VI, ma non ne assume il progetto.
Così quello che caratterizza i francescani nelle loro missioni non sono le caratteristiche del comando, dell’imposizione, ma sono le caratteristiche dell’anima, della delicatezza, della dedizione, dell’accoglienza fraterna e del rispetto per tutte e per ogni persona ed essere vivente. E il Vangelo della Parola viva di Gesù, il Servo Soffrente, alla quale i francescani faranno sempre riferimento nelle loro opere.
Rifacendosi strettamente al Vangelo, S. Francesco prima ed i suoi seguaci dopo, esalteranno alcuni concetti fondamentali per la conversione dei popoli.
Primo fra tutti il concetto della povertà, così calzante per la situazione nelle Indie, dove, come è già stato messo in evidenza, gli indios erano poveri, vivevano poveri naturaliter.
L’universo dei francescani era composto di compassione e comunione, concetti comuni agli indios e come S. Francesco non cercò di organizzare strutture di aiuto per i poveri, ma diventò uno di essi, cosi i francescani nella loro missione si unirono agli indios, vivevano in comunione con loro e si sforzavano di capirli.
Molti di essi cominciarono a studiare i loro idiomi: “giocando con pietruzze e pagliuzze per provocare la spontaneità della comunicazione” per poter apprendere così il maggior numero di parole indigene, arrivarono anche a compilare i primi dizionari e le prime grammatiche .
Questo dimostra la forte volontà di avvicinarsi a quei popoli, cercando di spiegare concetti cristiani con parole indigene o quando questo non era possibile, per esempio per mancanza di un corrispettivo indigeno di un concetto cristiano, cercando di far assimilare la lingua spagnola.
Si inserivano, così, in quelle culture, constatandone alcuni valori simili ai valori cristiani e difendendo gli indigeni dalla cupidigia degli spagnoli.
Se non fosse stato per i frati di S. Francesco, la Nuova Spagna sarebbe stata come le isole, “que ni hay indio a quien ensenar la ley de Dios ”, così scrive Motolinia riguardo all’opera di mediazione che attuarono i francescani tra gli spagnoli e gli indios, impedendo la distruzione completa di quei popoli e delle loro culture. L’avidità degli spagnoli si era rivolta in due direzioni: la prima era nata dalla Conquista ed era stata quella di ogni conquistatore colpito dalla fame di bottino, la seconda era nata dalla colonizzazione ed era dello Stato, dell’Hacienda Real, che voleva aumentare le entrate fiscali.
I francescani ritenevano che il primo compito del sovrano fosse quello di garantire il bene comune delle repubbliche che componevano i suoi domini e si opposero radicalmente alla politica dei repartimientos, che volevano dividere la popolazione in uomini liberi e uomini “naturalmente” inferiori e per questo “giustamente” sottomessi, secondo la concezione aristotelica dell’ineguaglianza degli uomini per natura.
Così il sovrano e gli spagnoli si sarebbero procurati il bene provocando il male degli altri e questo non era inconcepibile.
A chi si opponeva a tale tesi, sostenendo che questa dottrina era antica, quindi giusta e che la politica dei repartimientos era già radicata da molto tempo nelle Indie e che per questo anch’essa era giusta, i francescani rispondevano che “también los pecados son cosa muy antigua en el mundo y no por eso son buenos ”.
Per questo gli indios dovevano essere “tutelati” Essi non erano capaci di governarsi da soli, non per inferiorità mentale, anzi essi avevano una piena “idoneità al sapere” alla quale, però, si associa una piena “inidoneità al potere ”. Avranno sempre bisogno, quindi, del “tutelaje” dei frati. Lo stesso Mendieta dice che gli indios “no son buenos para mandar ni regir, sino para sor mandados y regidos ”. I francescani costituirono le basi per un incontro tra le culture e non vollero provocare uno scontro, che avrebbe potuto rivelarsi irreparabile, come quello compiuto ad opera dei conquistadores.
Un secondo concetto fondamentale dei francescani, derivante comunque da quello della povertà, era la fraternità universale.
Povertà era comunione con Cristo e spoliazione che avvicina estremamente all’“altro”. La povertà fa sparire tutte le differenze e vince il demonio che vive nella smania di potere e ricchezza. La fraternità non è intesa solamente verso gli uomini da S. Francesco ed i suoi seguaci, ma anche verso la natura, con tutti gli esseri viventi e questo era un altro concetto comune alla vita degli indios, che vivevano nella natura e della natura, senza troppi artifici.
Altra caratteristica dei francescani è la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa Apostolica.
Non c’è gerarchia, non c’è chi comanda e chi obbedisce, tutti sono ugualmente partecipi, ma nel caso degli indios questi devono essere guidati, non possono essere abbandonati. Essi sono già “orfani” della cultura cristiana e devono essere evangelizzati con l’esempio, la migliore “predica” agli occhi dei francescani .
Così in America Latina i francescani instaurarono un dialogo, non un rapporto scalare, ma vollero porsi “come bambini in mezzo ai bambini ”.
Questi, per lo meno, furono i concetti di partenza dei primi missionari francescani. Successivamente, infatti, le cose cambiarono. I missionari cercarono di mantenere vivi i loro ideali, ma furono impediti in questo sia dal potere statale e sia dal potere papale, tanto che le facoltà di evangelizzare e somministrare i sacramenti, concesse ai francescani in occasione della missione del 1523, vennero “restituite”, più o meno mezzo secolo dopo, al clero secolare, considerato più adatto ad europeizzare gli indios ed al quale vennero affidate anche le diocesi, che così acquistò maggior potere nei loro riguardi. L’approccio francescano al mondo indigeno della Nuova Spagna, dunque, presenta due aspetti complementari: da un lato lo studio delle tradizioni indigene e dall’altro il loro uso per un rinnovamento ecclesiale. Nei frati francescani è presente un notevole sforzo di comprensione del mondo dell’altro e di adattamento alle sue categorie culturali. Essi si unirono agli indios e ne condivisero la cultura e, anche senza aprire la partecipazione religiosa attiva ad indios, negri e mestizos, essi sono stati i testimoni della semplicità evangelica e dell’amore verso tutti, soprattutto verso i poveri, dando concretezza e credibilità alla proposta cristiana. Già con Filippo II si assiste alla riduzione del potere concesso ai frati regolari e alla distruzione della loro opera di studio e compromesso con le culture che erano andati ad evangelizzare.
Roberta Fidanzia

Religione, Storia

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